dal Messaggero Veneto di Giovedì, 29 marzo 2007
Si dibatte su chi abbia la competenza a giudicare il governo Usa
Il giudice del tribunale di Pordenone Alberto Rossi si è riservato la decisione in merito alla causa presentata da cinque pacifisti per la rimozione del presunti ordigni atomici dalla base aerea di Aviano. Soddisfatti i promotori della causa, che non si aspettavano questo esito. L’udienza è stata accompagnata da una manifestazione pubblica che ha richiamato delegazioni da Vicenza e Ghedi.
IL PROCESSO. La causa, presentata da Monia Giacomini, Tiziano Tissino, Carlo Meyer, Giuseppe Rizzardo e Michele Negro, chiede la rimozione dei (presunti) ordigni nucleari presenti ad Aviano e un eventuale risarcimento per i danni morali, come lo stress, e ambientali determinati dalla loro presenza. Legali dei presentatori sono Joachim Lau e Claudio Giangiacomo, della Ialana (Associazione internazionale giuristi contro le armi nucleari); per il governo Usa, l’avvocato Antonio Pollini. I legali della difesa hanno sollevato la questione di difetto di giurisdizione dello Stato italiano nei confronti dell’amministrazione militare, portando come argomentazioni diversi precedenti applicati nel diritto internazionale. Hanno, quindi, avanzato la richiesta di sospensione del procedimento in attesa della pronuncia della Corte di cassazione sulla competenza a giudicare o meno del tribunale italiano. Lau e Giangiacomo, da parte loro, si sono opposti all’eccezione, chiedendo che venga fissato l’inizio dei dibattimento e venga respinta, perché infondata, la richiesta di sospensione del processo. Il giudice Alberto Rossi si è riservato di decidere e nei prossimi giorni renderà nota la sua conclusione: se il processo sarà sospeso in attesa di una pronuncia della Cassazione, o se dichiarare fin da subito la questione infondata. Anche in quest’ultima eventualità, comunque, potrebbe essere richiesta una pronuncia alla Cassazione. C’è inoltre da ricordare che il procuratore della Repubblica di Pordenone Luigi Delpino si era espresso per il difetto di giurisdizione. IL CAVILLO. Lau e Giangiacomo hanno anche evidenziato quello che secondo loro è un errore nella traduzione dell’articolo 8 comma 9 del Patto Atlantico, come riportato nella sentenza del Cermis. «Secondo noi – afferma Giangiacomo – quella sentenza è basata su una lettura non corretta dell’articolo in questione». Nella decisione sul Cermis, l’articolo sarebbe citato con la possibilità che, sostanzialmente, gli Stati Uniti possano avvalersi dell’immunità giurisdizionale. «Nella versione ufficiale in francese del Patto – afferma il legale – che siamo andati a recuperare nella Gazzetta ufficiale del ’53 alla Biblioteca di Stato, c’è invece un “non” di più». Per i legali della Ialana, quindi, la corretta traduzione afferma che «lo Stato d’origine (in questo caso gli Usa) non può avvalersi dell’immunità giurisdizionale». Un cavillo, forse, ma letto da qualcuno come la possibilità di rivedere la sentenza sulla strage di Cavalese. LA MANIFESTAZIONE. Alle 8.30 il piazzale antistante il tribunale ha cominciato a riempirsi di pacifisti e forze dell’ordine. Tra loro, don Albino Bizzotto, leader nazionale dei Beati i costruttori di pace: non troppo ottimista, visto che ha subito dichiararo di duibitare fortemente che si potesse «andare in porto». Alle 9, tutti in tribunale (con “ingorgo” all’ingresso, dal momento che tutti sono stati controllati con il metal detector), anche se in aula hanno potuto entrarei solo gli “attori” della causa con i legali. Poi, al termine dell’udienza, la manifestazione vera e propria, alla quale hanno partecipato una delegazione del comitato No Dal Molin di Vicenza, una proveniente da Ghedi (dove sarà presentata un’analoga causa civile), disobbedienti di Treviso e Monfalcone, anarchici e, ovviamente, gli aderenti al “Comitato via le bombe”. Alla fine, comitato soddisfatto dall’esito, in quanto «con l’avvio della causa e la buona copertura mediatica che l’evento ha suscitato – ha affermato Tiziano Tissino – si pongono le basi perché il tema della presenza delle armi atomiche sul territorio italiano diventi di pubblico dibattito e la cittadinanza abbia modo di confrontarsi e prendere posizione sull’argomento».
Donatella Schettini