Cade un elicottero: 6 morti e 5 feriti (rassegna stampa)

dal Messaggero Veneto di Venerdì, 9 Novembre 2007
La tragedia sul Piave. Il Black Hawk americano era impegnato in un’esercitazione di sbarco di soldati, tutti residenti nella struttura pedemontana
Difficili le operazioni di recupero del mezzo Aperta un’inchiesta per disastro aereo L’area del fiume posta sotto sequestro
Il velivolo aveva decollato dalla Base di Aviano alle 11.30, 40 minuti dopo l’incidente sul greto del fiume a Santa Lucia
Il pilota, prima dello schianto, ha tentato una virata, ma la pala del rotore ha toccato terra
Sei morti e cinque feriti.È il drammatico bilancio dello schianto sul greto del Piave dell’elicottero americano Black Hawk, partito dalla base di Aviano per un’esercitazione di sbarco e imbarco. L’incidente è avvenuto alle 12.20 di ieri a non più di 200 metri dal cavalcavia dell’autostrada A27 e a un chilometro dalle case. A bordo c’erano undici militari statunitensi. Uno dei cinque feriti è ricoverato in condizioni gravissime al Ca’ Foncello di Treviso.È delle 12.21 la prima telefonata al 118. L’allarme è stato lanciato da un automobilista che ha assistito allo schianto del Black Hawk dal cavalcavia dell’A27 sul quale stava viaggiando. Il velivolo, con a bordo undici militari statunitensi tra cui due donne, stava volando già da una trentina di minuti sopra il greto del Piave per effettuare manovre di addestramento di sbarco e imbarco. L’elicottero era partito dalla base militare di Aviano alle 11.30. Il mezzo è adibito al trasporto di truppe ed è famoso soprattutto per essere impiegato nei teatri di guerra dall’esercito americano.
Lo schianto è stato improvviso e fulmineo. Chi ha assistito alla scena ha detto di aver visto il muso del Black Hawk abbassarsi verso terra. Il pilota ha quindi tentato una virata per recuperare quota e, nella manovra, una pala del rotore ha toccato terra facendogli perdere definitivamente il controllo del mezzo. L’elicottero si è poi schiantato a terra e si è spezzato in due tronconi. Uno dei militari che si trovava a bordo è stato sbalzato fuori, a pochi metri da dove l’elicottero ha impattato ed è rimasto illeso. Sul colpo sono morti invece entrambi i piloti.
«E’ un miracolo che non si sia incendiato» ha detto Alessandro Favaro, capo equipaggio dell’elicottero dei vigili del fuoco di Venezia, giunto per primo sul posto assieme al Suem di Treviso, per fare la spola tra il luogo dell’incidente e gli ospedali dove poi sono stati portati i feriti. Medici e pompieri hanno quindi iniziato ad estrarre uno ad uno i feriti: quattro sono stati tirati fuori subito dopo avere allargato la fusoliera con le cesoie, per gli altri tre sopravvissuti il lavoro è stato più complicato perché incastrati tra le lamiere. I feriti sono stati caricati a bordo degli elicotteri atterrati sul greto del Piave e trasportati sul cavalcavia dell’autostrada, temporaneamente chiusa in direzione di Belluno, dove sono stati presi in consegna dalle ambulanze che li hanno portati nei diversi ospedali: quattro a Treviso (di cui due in gravi condizioni), uno a Castelfranco Veneto, uno a Belluno e uno a Padova, che è morto poco dopo le 17; in serata, dopo un lungo intervento chirurgico è morto uno dei militari ricoverati a Treviso, portando il tragico bilancio dei decessi a sei. I quattro militari morti sul colpo erano stati portati all’obitorio dell’ospedale di Treviso per il riconoscimento effettuato da due incaricati della base di Aviano.
Per tutto il pomeriggio è stato un via vai di elicotteri dei vigili del fuoco, Suem, polizia e carabinieri. Sul posto è anche giunto il pubblico ministero di turno, Giovanni Francesco Cicero, che ha aperto un fascicolo con l’ipotesi di reato di disastro aereo. I resti del Black Hawk e l’area dell’incidente sono state poste sotto sequestro.

I SOCCORSI
Autostrada trasformata in centro di emergenza
Le forze dell’ordine hanno bloccato il traffico sul viadotto della A27 a Santa Lucia di Piave per circa tre quarti d’ora, dalle 12.45 alle 13.30. Tanto è stato il tempo necessario per caricare i sette feriti nelle ambulanze arrivate dagli ospedali di Treviso e Conegliano. L’autostrada è dunque diventata la piazzola di atterraggio degli elicotteri del Suem, che atterravano prima sul greto del Piave dove prelevavano i feriti, poi volavano fino al viadotto, dove atterravano ancora una volta, per consentire ai sanitari di caricare i feriti in ambulanza e trasportarli al nosocomio. Alle 13.30, concluse le operazioni di soccorso dei sette feriti, una carreggiata in direzione nord è stata riaperta. Per tutto il pomeriggio comunque il traffico diretto a Belluno è stato incanalato in quest’unica corsia percorribile. In senso contrario, verso Venezia, dopo la prima emergenza, il traffico è tornato immediatamente alla normalità.

Le prime cure ai feriti sono state prestate sulla carreggiata della Belluno-Venezia, poi i trasferimenti nei pronto soccorso
Riconoscimento delle salme compiuto da personale dell’aeroporto pordenonese
Mobilitati gli ospedali del Veneto
Allertate le sale di rianimazione di Treviso, Padova e Castelfranco
Tre ore di soccorsi febbrili, un continuo via vai di elicotteri (ne sono stati contati in tutto dodici) e di ambulanze. Anche l’autostrada Venezia-Belluno è stata bloccata per consentire l’atterraggio dell’elisoccorso. Pochi minuti dopo le 12.30 il Black Hawk statunitense, uno dei due di stanza ad Aviano è precipitato sul greto del Piave a Santa Lucia; da qui è iniziata la laboriosa giornata dei soccorritori.
Soli dieci minuti dopo l’area è stata assediata dalle forze dell’ordine e dai mezzi del Suem, provenienti dagli ospedali di Treviso e di Conegliano. Le operazioni si sono rivelate particolarmente complesse, le ambulanze non hanno infatti potuto raggiungere il luogo dell’incidente a causa del percorso impervio tra buche e fango che avrebbero dovuto attraversare. Immediatamente è stata dunque bloccata l’autostrada nel tratto del viadotto che attraversa il Piave, cinque ambulanze sono arrivate a sirene spiegate e hanno parcheggiato ai bordi della carreggiata.
Gli elicotteri del Suem atterrati a pochi metri dagli undici militari hanno iniziato a fare spola tra il viadotto e il luogo dell’incidente, coprendo una distanza di circa 500 metri. I sanitari sono scesi dagli elicotteri, hanno caricato i feriti e si sono diretti in autostrada dove ad attendere c’erano le ambulanze che, una volta caricati i militari, sono partite a sirene spiegate verso i tre ospedali veneti che li hanno accolti.
Le prime operazioni di emergenza sono proseguite per una quarantina di minuti, poi purtroppo sono rimasti sui sassi del Piave solo i corpi dei quattro militari morti sul colpo.
A Santa Lucia, attorno alle 14, sono arrivati altri elicotteri, uno del Suem, due dei vigili del fuoco, uno dei carabinieri, uno dell’Esercito italiano e un altro elicottero statunitense.
Agenti della polizia municipale e carabinieri hanno predisposto un cordone di sicurezza, che non ha consentito alla folla di curiosi di avvicinarsi oltre i trecento metri al Black Hawk – appartenente all’Us Army dell’Esercito americano, specializzato in aviosbarchi e facente parte della Golf company – incagliato sul greto del Piave. Sono rimasti visibili a tutti solo i quattro teli neri, mestamente adagiati al suolo. Nel primo pomeriggio, inoltre, dall’argine del fiume sono stati avvistati anche due “Patrol” con targa statunitense ovvero le auto della polizia militare americana, che con ogni probabilità hanno poi raggiunto la zona dell’incidente sul versante opposto del Piave. Alle 14.30 è giunta sul luogo anche un’autogrù che ha provveduto ad alzare il velivolo per agevolare le operazioni di soccorso.
Alle 16.30 quattro elicotteri sostavano ancora sul greto del Piave in attesa del via libera al trasporto dei quattro cadaveri.

Il “falco nero” dal 1998 ad Aviano
 
Due gli stanziali, gli altri fanno la spola con le basi tedesche e venete
Gli elicotteri Black Hawk del tipo identico a quello caduto ieri a Santa Lucia di Piave, in provincia di Treviso sono presenti dal 1988 nella Base di Aviano.
L’elicottero precipitato, secondo le informazioni raccolte da fonti italiane e confermate dal comando europeo dell’Us Army in Germania, appartiene alla “Compagnia G” del 52° reggimento dell’aviazione in forza all’Us Army: non si tratta quindi di un velivolo della Us Air Force, l’aeronautica militare americana, ma dell’esercito statunitense. Ad Aviano, tra l’altro, gli elicotteri UH-60 stanziali sono soltanto due e uno di questi è quello precipitato ieri mattina sul greto del Piave a Santa Lucia. Altri velivoli, invece, fanno la spola, per trasporto materiali e uomini e per esercitazioni, da altre basi sia in Italia sia all’esterno, soprattutto dalla Germania.
Ha spiegato Bruce Anderson, un portavoce dell’Us Army Europe: «La compagnia G è la maggiore unità dell’esercito americano basata attualmente ad Aviano. Nel corso del tempo, l’unità ha cambiato più volte missione e denominazione. Attualmente la missione principale è di provvedere al trasporto di personalità civili e militari». In quanto ai nomi e al ruolo ricoperto nella forza armata dai militari presenti ieri nell’UH 60 precipitato, nessun riferimento. Da aggiungere che ad Aviano questo particolare velivolo viene utilizzato principalmente per attività di supporto all’esercito americano, soprattutto per le truppe di stanza a Vicenza nella caserma Ederle di Vicenza.
Il Black Hawk (letteralmente “falco nero”) è un elicottero medio-leggero da trasporto tattico da 14 a 18 posti (il numero varia a seconda della configurazione), con due turbine e quattro pale. La serie UH-60 è in grado di compiere una vasta gamma di missioni, comprendendo il trasporto tattico di truppe, la guerra elettronica e le missioni di evacuazione medica. Il costo unitario del velivolo varia con la versione e in funzione delle differenti specifiche ed equipaggiamenti. Per esempio l’UH-60 versione L per l’esercito costa 5,9 milioni di dollari, mentre la variante per l’Air Force, denominata MH-60 G Pave Hawk, costa 10,2 milioni di dollari.

Aviano, linee intasate e lacrime trattenute
Il comandante Sardo: volerei lanciare un mazzo di fiori in memoria dei caduti
LA TRAGEDIA SUL PIAVE
I soldati morti e quelli feriti risiedevano in Base Tensione fra i genitori in America sulle sorti dei figli
Un militare: noi non siamo abituati a mostrare le emozioni ma il silenzio esprime il nostro umore in questo momento
di ENRI LISETTO
«Potessi essere in volo in questo momento lancerei un mazzo di fiori in cielo per i colleghi caduti». E’ concentrato tutto in questa frase, pronunciata al termine di una lunga e concitata giornata dal comandante dell’aeroporto Pagliano e Gori di Aviano, colonnello Roberto Sardo, il dolore di una “città” intera, quella della Base, quasi 9 mila abitanti, la metà dei quali militari, sede del 31° Fighter wing dal 1992, lo stormo che comprende una cinquantina di F-16 tanto temuti quanto ammirati dai popoli pacifisti e di appassionati.
Le linee dell’ufficio informazioni personale, riservate alle famiglie dei militari in servizio oltreoceano, sono state letteralmente intasate per tutto il giorno, da quando i siti internet specializzati e di informazione avevano cominciato a lanciare notizie e aggiornamenti sulla tragedia di Santa Lucia di Piave: «Siamo rimasti al telefono tutto il giorno», confida una fonte. Di piloti, ad Aviano, ce ne sono meno di un centinaio, ma in quel Black Hawk, “falco nero”, non c’erano solo piloti, ma anche personale militare in addestramento, prevalentemente giovane. Dall’altra parte del telefono familiari che intendevano conoscere le sorti dei loro cari e rassicurati. Familiari, questi sì più sfortunati, che, fino a tarda sera, non erano stati tutti informati e per questo il comando tedesco dello stormo cui fa capo la coppia di elicotteri di stanza ad Aviano dal 1998, non erano stati ancora raggiunti: ecco perché i nomi di vittime e feriti non sono stati resi noti. In compenso è già al lavoro l’unità di supporto psicologico del 31° che ha il difficile compito di “consolare” e seguire i parenti delle vittime, alcuni residenti ad Aviano e nell’hinterland, altri rimasti in America. Addolorati anche gli italiani, abituati a vedere, specie di notte, le lucette rosse e verdi lampeggianti, attorno alla base: quelle dei “falchi neri” in addestramento.
Loro, le vittime e i feriti. Tutti residenti nell’Avianese (di norma devono raggiungere l’aeroporto in meno di mezzora), chi con famiglia e chi senza, uno pare fosse stato giocatore nella squadra di rugby nazionale dell’Usafe. Di solito non restano più di due-tre anni nello stesso posto. Abituati a traslocare, a fare la spola tra una base e un’altra, a migliaia di chilometri di distanza.
Oggi bandiere a mezz’asta in tutte le strutture della Base aerea: lo ha deciso il comando ieri pomeriggio. Aviano è stata colpita da uno dei più gravi lutti della sua storia: nemmeno nelle numerose missioni in Bosnia, Kosovo Kuwait prima, Afghanistan e Iraq dopo, si sono contate tante vittime come in un sol giorno. Un paio in quattro anni, sempre elicotteristi, caduti nel deserto.
«I militari non mostrano le loro emozioni», racconta uno di loro, «ma il silenzio esprime più sentimento delle lacrime». E, ancora una volta, c’è tempo per ringraziare Dio almeno «per non aver provocato danni ai civili». Prima di organizzare il «servizio funebre» che si svolgerà probabilmente nella chiesa ecumenica interna.

L’avvocato Malattia: lo fece anche l’Italia per le Frecce tricolori
Gli Usa potranno avocare l’inchiesta
IL PARERE
La procura della Repubblica di Treviso ha aperto un fascicolo d’inchiesta con l’ipotesi di reato di disastro aereo. Il procuratore capo, Antonio Fojadelli, ha reso noto che sia i resti dell’elicottero e l’area dove è avvenuto l’impatto sul greto del fiume Piave, a Santa Lucia, sono state poste sotto sequestro.
Tutte le undici persone a bordo del “falco nero”, questo il significato italiano di Black Hawk, sono di nazionalità americana e di stanza alla base di Aviano: in questo caso, potrebbe profilarsi la possibilità che le autorità statunitensi, sulla base degli accordi legati al cosiddetto “trattato di Londra” degli inizi degli anni Cinquanta, possano chiedere al competente ministero italiano di rinunciare alla giurisdizione primaria. La stessa cosa, tra l’altro, era avvenuta per la tragedia del Cermis, nel 1998.
Si tratta di un atto previsto, appunto, dagli accordi internazionali. «Vige il principio per cui – ha spiegato l’avvocato Antonio Malattia che, assieme al padre Bruno, aveva difeso i quattro piloti del Prowler “incriminato” a Cavalese – nel caso di fatti che costituiscano reato, commessi nell’esecuzione del servizio, la priorità nell’esercizio della giurisdizione spetta al Paese al quale il militare appartiene». Nel caso dell’incidente di ieri, insomma, tutti i coinvolti sono americani e quindi l’esercizio giurisdizionale potrebbe essere avocato dagli Stati Uniti. «Se l’incidente accade in Italia, come in questo caso – aggiunge l’avvocato Malattia – la priorità della giurisdizione spetta agli Stati Uniti». Ma l’Italia può fare qualcosa? «Il ministro della Giustizia italiano può chiedere al governo americano di rinunciare a tale prioritario esercizio».
Già all’epoca della tragedia di Ramstein, il 28 agosto 1988, dove si scontrarono tre Frecce Tricolori in volo e vi furono 77 morti tra gli spettatori dell’air show, «l’Italia invocò la giurisdizione primaria e la ottenne». Si tratta, insomma, «di regole praticate non solo dagli Stati Uniti – conclude l’avvocato Antonio Malattia – ma regole di cui si è avvalsa anche l’Italia per i propri piloti». Sul posto dell’incidente, infine, si è recata anche la polizia giudiziaria per conto della procura militare di Padova. (e.l.)

Tra jet caduti, pezzi persi e bombe in giardino
Fuori pista, guasti, carrelli rotti e Freccia in panne: gli imprevisti nelle missioni a stelle e strisce
I PRECEDENTI
Jet caduti, pezzi persi per strada, bombe e serbatoi in orti e giardini. L’elenco degli incidenti ai velivoli militari di Aviano (permanenti o in transito che siano) è lungo. E non potrebbe essere altrimenti, visto il viavai sui cieli del Friuli occidentale, non soltanto in tempi di guerra.
Alla storia della base avianese appartengono alcuni atterraggi o decolli da “brivido”, conclusisi in parte sulle speciali barriere issate a fondo pista e, in parte (decisamente più esigua ma potenzialmente più pericolosa, tanto da indurre all’effettuazione di una simulazione di emergenza interforze nel 2006), nel prato oltre la strada provinciale Pordenone-Aviano.
Protagonisti i jet appartenenti al periodo della cosiddetta Guerra fredda (in primis i cacciabombardieri F-4 Phantom, impegnati nel conflitto vietnamita), ma anche, più recentemente, F-16, F-15, F-18, A-10, velivoli della Marina e dell’aviazione dell’esercito Usa, tanto per citarne alcuni.
Nella lunga casistica — centinaia i grandi e piccoli problemi in cinquant’anni di presenza Usa ad Aviano – ecco alcuni incidenti assurti agli onori delle cronache locali e nazionali.
Negli anni Ottanta il pilota di un A-10 dell’Usaf, specializzato per la caccia ai carri armati, si accorse di non riuscire a decollare e piantò una frenata all’ultimo momento. L’aereo sfondò la rete di protezione arrestando la sua corsa nel campo oltre la provinciale, muso nel mais e coda in aria: poco prima del fuori pista sulla strada era transitato un bus di linea.
Incidente sfiorato nel 1996 a un velivolo delle Frecce tricolori nel corso di un’affollata parata aerea. Il pilota si accorse di non poter decollare e fece uscire il parafreno, mentre il resto della pattuglia prendeva il volo. L’aereo si arrestò, senza danni, a un centinaio di metri dalla rete di recinzione.
Era il luglio del 1997 quando, al termine della frenata dopo l’atterraggio, il carrello anteriore di un F-16 “avianese” cedette, costringendo il pilota a un’acrobazia per toccare la pista. L’aereo finì muso a terra ma non uscì dal perimetro aeroportuale.
Nel 1996 due F-16 di Aviano precipitarono in Serbia: uno di essi era quello in carico al comandante del 510° fighter squadron, il quale, dopo essersi lanciato col paracadute, venne recuperato insieme al campagno di missione, anch’egli eiettatosi. Il caccia venne smontato e riportato ad Aviano. Il pilota fu trasferito in un’altra base dove, scherzo del destino, si ritrovò tra le mani lo stesso aereo capriccioso.
Nell’aprile del 1999 due l’F-15 rischierati ad Aviano e diretti sull’aeroporto pedemontano, in difficoltà per carenza di carburante, sganciarono sei bombe nelle acque del lago di Garda, innescando non poche polemiche sui voli militari nel nord Italia.
Nel 1994 un F-16 di Aviano precipitò nel mare Adriatico nel corso di una missione di addestramento. Per il pilota non vi fu nulla da fare. Tra le ipotesi formulate sulle cause all’origine della tragedia quella del disorientamento spaziale, ovvero l’incapacità di identificare il luogo dove ci si trova, specie quando mare e cielo diventano una cosa sola e ci si trova a volare a bassa o bassissima quota.
L’ultimo incidente, in ordine di tempo, poco più di un mese fa, la sera del 18 settembre scorso in Val di Zoldo, nel Bellunese. Era in volo di esercitazione: “routine” per l’F-16 pilotato da un tenente colonnello dell’aviazione americana.
Una routine che aveva dovuto fare i conti col tempo, che s’era girato all’improvviso: erano le 18.39 quando l’F-16, decollato da Aviano, precipitava, incendiandosi. Forse un fulmine, forse un eventuale guasto – le commissioni di inchiesta sono ancora al lavoro – il velivolo era caduto da 4-5 mila metri, schiantandosi contro la montagna. Illeso il pilota che si era catapultato grazie al seggiolino eiettabile: ricoverato in ospedale per accertamenti, poco dopo era stato dimesso. Poco prima dell’incidente pare che il pilota avesse puntato l’aereo dritto sul costone, forse per evitare le case di Soramaè.
Ieri mattina, infine, il pià grave degli incidenti, dopo la tragedia del Cermis, avvenuta il 3 febbraio 1998. (d.b.)

«Grande sofferenza: i militari sono caduti sul posto di lavoro»
DEL CONT BERNARD
«Esprimo la mia profonda preoccupazione, a poco tempo da un analogo incidente nel Bellunese». Se un incidente «può sempre avvenire – spiega il sindaco di Aviano, Stefano Del Cont Bernard –, i tempi ravvicinati ci portano a immaginare che le condizioni di sicurezza debbano essere valutate». Ma il primo cittadino di Aviano esprime soprattutto «profondo cordoglio per le vittime dell’incidente. Sono morti lavoratori, pur in un contesto particolare, operatori che probabilmente avevano famiglia, qualcuno che li aspettava a casa. Voglio esprimere il massimo rispetto e il massimo dolore, anche a nome di tutta la comunità avianese, agli Stati Uniti, alle famiglie delle vittime e al comando dell’aeroporto, soprattutto al comandante che è uomo di profonda umanità e immagino stia soffrendo come un padre». Nel corso degli anni «non abbiamo mai avuta la percezione di pericoli dovuti al volo le cui norme sono sempre state osservate scrupolosamente. Anche il Cermis – conclude il primo cittadino di Aviano – è ascrivibile a un comportamento errato e non a un sistema che non funziona». (e.l.)

«Come nelle gioie anche nel dolore siamo vicini agli Usa»
SALVADOR
«Oggi è un giorno di lutto per tutti quanti noi»: lo ha detto il presidente dell’Associazione dei comandanti onorari della base di Aviano, Maurizio Salvador. L’associazione, ha aggiunto Salvador, partecipa «al dolore che ha colpito l’esercito degli Stati Uniti e la comunità americana della Base aerea di Aviano per la scomparsa di queste giovani vite nel corso di un addestramento militare. Così come siamo vicini al popolo americano nei momenti di festa e di gioia – ha aggiunto Salvador – lo siamo ancora di più in questa triste circostanza». A nome dell’associazione che presiede, «porgiamo le nostre più sentite condoglianze alle famiglie colpite, siamo vicini ai feriti e a tutti i militari in servizio alla Base e al brigadier generale Craig Franklin, comandante del 31° Fighter wing» di stanza ad Aviano. Salvador ha aggiunto che «ci auguriamo che episodi di questo tipo non abbiano più a verificarsi, anche se il rischio rientra nell’ordine di queste cose». (e.l.)

«Sicurezza-insicurezza nell’insediamento» I pacifisti: sabato sit-in
SARTORI
Per la federazione provinciale di Pordenone di Rifondazione comunista, l’incidente in cui è stato coinvolto un elicottero americano, è «un gravissimo episodio, successivo a quello relativo alla caduta dell’F-16 nel Bellunese» e «testimonia ancora una volta – spiega una nota di Laura Sartori – la preoccupazione circa la sicurezza-insicurezza della base di Aviano». La richiesta del «Movimento pacifista e di Rifondazione, fatta propria da Intesa Democratica in Regione e dalle lettere inviate in tal senso dal presidente Illy al Governo di conoscere i trattati Italia-Usa che regolano l’attività della Base è quanto mai impellente e attualissima». La presenza inoltre «mai smentita, di ordigni nucleari (ancorchè in violazione dei trattati) rende ancora più drammatica questa richiesta di trasparenza e l’abbandono immediato di ogni installazione di armi di distruzione di massa, che anche per incidenti come quello di ieri e di un mese fa potrebbe comportare distruzioni enormi».
Il comitato Via le bombe e il Comitato unitario contro Aviano 2000 hanno promosso per sabato un sit-in antimilitarista in piazza Cavour, a Pordenone, dalle 15.30
«Democrazia, libertà e giustizia garantiti dalla loro presenza»
DE ANNA
«Il mio primo pensiero va alle vittime, ai loro familiari e al comandante; un pensiero che unisco al totale cordoglio e solidarietà». E’ questo il primo commento del presidente della Provincia, Elio De Anna, appreso della tragedia sul greto del Piave. «Cordoglio anche nei confronti degli americani di stanza ad Aviano, all’interno di un’alleanza consolidata e strategica con l’Italia e l’Europa. Oggigiorno ci affidiamo alle Forze armate per le missioni di pace e di sicurezza e per la lotta al terrorismo – ha aggiunto De Anna – in tutto il mondo per garantire democrazia, libertà e giustizia, i tre condimenti essenziali per servire la pace». Questo significa anche «“allenarsi” attraverso delle esercitazioni, teatri operativi che possono portare a un epilogo drammatico come quello odierno». Il presidente della Provincia di Treviso, Leonardo Muraro, ha espresso «il più sentito cordoglio ai familiari delle vittime coinvolte nell’incidente. Porto il mio sostegno anche al comando americano di Aviano costretto a subire questa terribile tragedia». (e.l.)

«Si è fermato in aria, poi è precipitato»
Paolo Lorenzon ha assistito alla scena dalla propria auto mentre percorreva l’A27
LA TRAGEDIA SUL PIAVE
L’agente di commercio trevigiano è stato tra i primi ad allertare i soccorsi «L’elicottero girava su se stesso quasi fosse stato risucchiato da un vortice»
«Per un istante l’elicottero si è come fermato in cielo, poi è caduto girando su se stesso quasi fosse stato risucchiato da un vortice. Pensavo fosse un film, invece la tragedia si è consumata davanti ai miei occhi». E’ stato Paolo Lorenzon, agente di commercio di Ponte di Piave, una delle prime persone ad allertare i soccorsi negli attimi successivi allo schianto dell’elicottero.
Erano le 12.19 quando dal cellulare di Lorenzon è partita la chiamata prima al 118, poi al 113. Poche parole, le sue, cariche di angoscia e terrore: «Ho visto un elicottero cadere nel Piave». L’agente di commercio ha vissuto in diretta la tragedia dell’aria di Santa Lucia di Piave. Ieri mattina, poco dopo mezzogiorno, stava percorrendo l’autostrada A27 nel tratto fra Treviso Nord e San Vendemiano. Era al telefono con un collega di lavoro e si stava avvicinando al ponte che attraversa il Piave. «Ho visto con la coda dell’occhio un elicottero che si muoveva verso nord molto lentamente e non riuscivo a spiegarmi il perché‚ di quel procedere anomalo. Credevo stesse facendo una manovra. Pochi istanti dopo, invece, ho avuto come la percezione che si fosse fermato in aria. Poi, all’improvviso, quando con la mia auto ero arrivato quasi sul ponte, ho visto l’elicottero precipitare, girando ripetutamente su se stesso, andandosi poi a schiantare con la parte anteriore sul greto del fiume – racconta Lorenzon –. Non ho più parlato al cellulare con il collega, tanta era la paura. Ho riattaccato la telefonata. Sono rimasto gelato: davanti ai miei occhi c’era l’apocalisse».
La testimonianza di Paolo Lorenzon potrebbe essere fondamentale per ricostruire l’esatta dinamica dell’incidente che è costato la vita a cinque militari statunitensi. «L’elicottero è precipitato tra l’acqua e la boscaglia che costeggia il Piave. Nella caduta si è come incagliato tra i sassi del greto, aveva la coda rivolta verso l’alto. Dopo lo schianto, le eliche posteriori giravano ancora. Dall’auto sentivo il rumore delle pale che battevano contro i massi. Poi, improvvisamente, il motore dell’elicottero si è spento. Nell’impatto violento con il suolo, il mezzo non ha preso fuoco, ma è stato come avvolto dal fumo – continua l’agente di commercio –. La tragedia si è consumata a nemmeno trecento metri da me. E’ stata questione di attimi. Credevo di essere in un film, sono rimasto come paralizzato davanti alla scena. Non avevo mai visto niente di simile».
Assieme a quella di Lorenzon si sono fermate sul ponte anche altre due auto. Il tempo di capire esattamente cos’era successo, poi l’agente di commercio ha preso il cellulare per chiamare i soccorsi, prima il Suem, poi il 113. «Mentre ero al telefono per dare l’allarme, ho visto una persona che riusciva a uscire dalla carlinga dell’elicottero – prosegue Lorenzon – e si è poi andata a rifugiare nella boscaglia vicino al luogo dello schianto».
Già nel 2002 Lorenzon aveva vissuto in prima persona un’altra tragedia dell’aria. Durante una vacanza in Nepal, il piccolo aereo su cui viaggiava parte della sua compagnia era precipitato. In quell’occasione i morti furono 17. Lorenzon, a bordo di un altro aereo che procedeva a poca distanza, aveva assistito impotente allo schianto.

Un soldato, sottoposto a intervento chirurgico, resta in gravi condizioni. Sono fuori pericolo gli altri quattro
«Difficile riconoscere le vittime»
Alcune sono state identificate dalle medaglie che portavano al collo
Un altro dei militari americani sopravvissuti al disastro di Santa Lucia di Piave sta combattendo tra la vita e la morte. E’ stato sottoposto a un lungo intervento chirurgico toracico addominale all’ospedale Ca’ Foncello. Al nosocomio trevigiano sono stati portati altri due feriti lievi, un altro è stato portato a Belluno e uno a Castelfranco. Nessuno degli altri quattro sarebbe in pericolo di vita.
Un solo militare è uscito illeso dall’incidente: è stato sbalzato fuori al momento dell’impatto. «Era un ragazzo molto giovane ed era sotto choc», ha raccontato uno dei primi soccorritori a giungere sul posto, Alessandro Favaro: «Si era messo seduto, medici e infermieri gli parlavano, lo tranquillizzavano, poi si è un po’ allontanato dal rottame con loro: camminava sulle sue gambe, ma alla fine è stato messo su una barella, e portato in ospedale».
I soccorsi sono stati coordinati dal Suem di Treviso. «Tra i feriti non critici c’è anche una donna – ha detto la dottoressa Maria Luisa Ferramosca –. Dopo aver ricevuto la prima telefonata abbiamo mandato sul posto il nostro elicottero e gli elisoccorsi di Padova e Pieve di Cadore». All’ospedale di Castelfranco è stato trasportato un militare poco più che ventenne che ha riportato un trauma toracico molto serio con diverse fratture alla mandibola e alla rachide. Nelle stesse condizioni versa il paziente portato a Belluno. Difficile anche stabilire le identità delle vittime e dei sopravvissuti. I medici hanno provato a farlo attraverso le piastrine metalliche di riconoscimento che i militari portano al collo. Non tutte le famiglie dei soldati morti sono state avvisate della tragedia.
Da Heidelberg è giunta una nota dell’Us Army Europe che ha riassunto l’accaduto e ha affermato che «le cause dell’impatto sono al momento sconosciute». L’ufficio per la sicurezza dell’esercito statunitense, informa la nota, «ha già inviato un team investigativo per capire le cause dell’accaduto ed ulteriori informazioni verranno fornite appena disponibili. I nomi delle vittime non saranno rilasciati fino ad avvenuta comunicazione ai familiari».

Le invocazioni di aiuto dal groviglio di lamiere
I FERITI
Ieri sera è salito a sei il bilancio dei soldati americani morti in seguito all’incidente di Santa Lucia di Piave. Ai quattro militari morti sul colpo, se n’è aggiunto un altro mancato all’ospedale di Padova, Christian Skoglund, per l’aggravarsi delle sue già critiche condizioni. Il sesto militare è morto al Ca’ Foncello di Treviso, poco dopo le 21, dopo un lungo e complesso intervento chirurgico.
L’impatto a terra del “Black Hawk” è stato violentissimo tanto da provocare la morte immediata di quattro militari. Ai primi soccorritori che sono giunti sul greto del Piave è apparsa una scena apocalittica. A terra la carcassa spezzata in due dell’elicottero. Dall’interno di esso provenivano le urla dei sopravvissuti che chiedevano aiuto. Alcuni erano incastrati tra le lamiere. I vigili del fuoco e i medici hanno capito immediatamente per i due piloti non c’era più niente da fare. Troppo violento l’impatto per chi si trovava seduto sui posti anteriori. Anche le altre due vittime sono morte sul colpo.
Le operazioni sul greto del Piave sono proseguite alla luce delle fotolettriche, con le operazioni tecniche attorno all’elicottero caduto poco dopo mezzogiorno. Sul posto, sotto sequestro su disposizione della procura della repubblica di Treviso, oltre alle squadre tecniche sono presenti anche militari statunitensi e i carabinieri che presidiano la zona.

«Ha rischiato di cadere sopra le nostre case»
LE REAZIONI
Centinaia le persone che durante tutto l’arco della giornata hanno assistito alle operazioni di soccorso. Tra i primi i residenti di via dell’Argine. «Quasi ogni giorno qui fanno esercitazioni – rivela Gianni Vendrame, un allevatore che ha la casa vicino all’argine –. Un elicottero era qui già dalle 11. Non vogliamo nemmeno immaginare cosa sarebbe successo se fosse caduto sopra le case». Secondo i residenti, frequente è il passaggio di velivoli militari in quella zona, ma anche le esercitazioni nell’area del fiume. «Una volta, qualche anno fa, sono atterrati sul campo qui di fianco a casa nostra stendendo cinquanta metri di grano», prosegue Vendrame.
All’inizio di via dell’Argine c’è il ristorante Al Gabbiano. «Abbiamo chiamato i soccorsi quando abbiamo capito cosa era accaduto – afferma Luigi Fornasier –. Alcuni agenti delle forze dell’ordine sono arrivati qui chiedendoci dove era caduto di preciso l’elicottero».
Verso le 16 è arrivato nell’area del disastro il sindaco di Santa Lucia Fiorenzo Fantinel, assieme all’assessore Alberto Nadal. «Difficile trovare le parole in occasioni come queste – spiega il primo cittadino –. Il nostro cordoglio va ai deceduti e alle loro famiglie, ci auguriamo che i feriti possano riprendersi». Il sindaco dichiara che alla sua amministrazione non sono giunte segnalazioni di esercitazioni sul greto del Piave. «La Nato, comunque, non è tenuta – precisa – ad avvisare le autorità e le istituzioni locali delle manovre in atto sul proprio territorio».

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