Incidente in volo, dramma ad Aviano (rassegna stampa)

dal Gazzettino di Venerdì, 9 Novembre 2007
Le sei vittime tutte americane vivevano in Base. Cinque militari feriti. Indagine sulle cause dello schianto accaduto alle 12
Decollato dall’aeroporto Pagliano e Gori l’elicottero dell’Esercito statunitense precipitato nel trevigiano
Aviano
Un elicottero Black Hawk dell’aviazione leggera dell’esercito statunitense (Us Army), decollato dalla base di Aviano, è precipitato ieri mattina sul greto del fiume Piave, vicino a Santa Lucia di Piave (Treviso), durante un volo addestrativo. Sei degli undici militari statunitensi che si trovavano sul velivolo sono morti (cinque quasi sul colpo, il sesto nella tarda serata di ieri). Una scena terrificante, quella che si è presentata ai primi soccorritori poco dopo le 13. La carlinga completamente sventrata, il rotore di coda tranciato di netto, pezzi di fusoliera sparsi un po’ ovunque: dentro, nel groviglio di lamiere, ci sono ancora i corpi di due piloti. A terra, poco lontano, le salme degli altri due militari morti, mentre i feriti, uno alla volta a cominciare dai più gravi, vengono caricati sugli elicotteri e portati ai vari ospedali. L’elicottero è precipitato a circa 300 metri dal ponte della A27, al confine tra i Comuni di Santa Lucia e Spresiano. Arrivare sull’isolotto da terra è consentito solo con un fuoristrada o attraversando il fiume a piedi: una camionetta dei vigili del fuoco e un’ambulanza, che per prime hanno tentato di raggiungere il luogo dello schianto, si sono "piantate" in mezzo al fiume. Quando la gente che abita nelle case più vicine, un chilometro circa dal luogo dell’impatto, è riuscita ad arrivare sul posto, i feriti più gravi erano già stati portati via. Sul greto del fiume sacro alla patria c’erano ancora i quattro militari morti nello schianto (un quinto ferito cesserà di vivere poco dopo il ricovero, ndr), assieme ai feriti meno gravi, tremanti e sotto choc: due salme erano ai posti di guida e altre due in mezzo agli arbusti, scagliate fuori nell’impatto col terreno.
Per ore, dopo il tragico schianto, sul greto del fiume è stato un continuo susseguirsi di atterraggi e decolli: i due elicotteri del 118, giunti rispettivamente da Treviso e Padova, portavano via i feriti più gravi. Quelli di vigili del fuoco, polizia e carabinieri caricavano gli altri feriti, trasferendoli fino al ponte dell’autostrada dove venivano caricati sulle ambulanze per il trasporto nei vari ospedali. I mezzi dei pompieri e delle forze dell’ordine si sono alternati, facendo la spola con il ponte dell’autostrada dove avveniva il rendez-vouz con le auto, per prelevare e portare sull’isolotto i vertici di carabinieri e polizia. Sul posto sono giunte, poco dopo lo schianto, le autorità Usa da Aviano, il colonnello Nardone, i comandanti dei carabinieri di Conegliano e Susegana. Poi è stata la volta del prefetto Capocelli. Poco prima delle 15 è giunto, dalla Procura, anche il pm Cicero: poco dopo il suo arrivo le salme delle prime 4 vittime dell’incidente sono state ricomposte e spostate. I corpi degli sfortunati militari sono stati caricati sugli elicotteri in attesa, per l’ultimo volo dopo quello, sfortunato, di addestramento che è costato loro la vita.

«L’elicottero si è avvitato, sembrava un film»
Paolo Lorenzon, agente di commercio in viaggio sull’autostrada, ha vissuto in diretta il tremendo schianto
«Sembrava di essere in un film». Paolo Lorenzon ci ha messo qualche attimo a realizzare di non essere davanti alla televisione per il solito action movie.
Mezzogiorno è passato da un quarto d’ora e Lorenzon viaggia sull’autostrada A27, da Treviso verso Conegliano, dove ha un appuntamento, tragitto di routine nel suo lavoro di agente di commercio. Al telefono, in viva voce, un collega. L’occhiata che gira sulle Grave, alla sua destra, coglie una sagoma nel cielo: un elicottero in volo che procede anch’esso in direzione del fiume. Oscilla, in modo anomalo. Il ponte sul Piave è ormai meno di mezzo chilometro, il velivolo sussulta sempre più freneticamente. «Ho rallentato e mi sono voltato, l’amico al cellulare non sentendomi più parlare, mi chiamava, io gli ho detto: "Ci sentiamo dopo, qui c’è qualcosa che non va». Alto sul greto («saranno stati 150 metri») all’improvviso l’elicottero si blocca e inizia a precipitare, avvitandosi su se stesso.
«Cadeva con il muso in giù e la coda verso l’alto, roteando». Frazioni di secondo. Si schianta al suolo, l’abitacolo si frantuma conficcandosi nella pietraia. Lorenzon ha accostato l’auto, scende. Accanto a lui si ferma un’altra macchina, il guidatore scatta delle foto. Nessuno apre bocca: «Eravamo talmente stupiti che non abbiamo detto niente. Non mi capacitavo di quello che stava accadendo. Ho rivissuto la tragedia capitami cinque ani fa in Nepal, uno dei due aerei su cui volava il nostro gruppo si è sfracellato contro una montagna: sono morti in 17».
Nella prima delle vetture in fila ai bordi del viadotto c’è Roberto Zara: «Andando a Vittorio Veneto, stavo telefonando: con la coda dell’occhio vedo l’elicottero cadere, chiudo la telefonata e mi fermo, dietro di me altre tre o quattro auto». Nel cruscotto ha una macchina fotografica, anche lui scatta qualche immagine: l’orologio della digitale segna le 12.16. A che altezza si trovasse l’apparecchio dell’esercito Usa, Zara non sa dirlo, ma un particolare ce l’ha bene impresso in mente: «Dal rottame è sgattaiolata fuori una persona, si è allontanata di una cinquantina di metri, per poi ritornare sui suoi passi».
Una figura vestita di scuro, l’ha notata anche Lorenzon: «Trenta, quaranta secondi dopo l’impatto. A posteriori, ho focalizzato che era uno degli occupanti che cercava di mettersi in salvo, nel caso l’elicottero avesse preso fuoco». Niente fiamme, invece, niente fumo. Solo le lamiere accartocciate del Black Hawk, la pala dell’elica che per qualche secondo continua a mulinare, martellando il terreno.
Michele Marcon, operaio di un’azienda agricola, sta lavorando tra i filari delle viti poco distante dal luogo della disgrazia, vicino al cavalcavia dell’autostrada A27 e ai campi che dividono la strada dalle sponde del fiume Piave. «Era dalla mattina che sentivamo l’elicottero sorvolare la zona – spiega -, ma non ci avevamo fatto molto caso. Qui capita spesso che ci siano elicotteri che fanno addestramento, noi siamo sempre nei campi per lavorare e li vediamo far manovre». Nulla di diverso dal solito, Michele continua il suo lavoro, con lui anche altre due operaie Milena Campana e Natascia Stival. Nulla che presagisse quel che stava per succedere: «Ho alzato lo sguardo e ho visto l’elicottero girare su se stesso, sempre più velocemente, come risucchiato in un vortice, fino a perdere il controllo, precipitare e scomparire dalla nostra vista vicino all’argine».
L’uomo intuisce quanto è accaduto ed è tra i primi a rendersi conto della tragedia: «Mi sono immediatamente precipitato verso il greto del Piave per vedere cosa era successo. Tra gli alberi si intravedeva l’elicottero. Non c’erano fiamme, per fortuna non ha preso fuoco». Daniele Feltrin, la scena l’ha osservata da casa sua, a Lovadina, ad un paio di chilometri: «Ho visto l’elicottero volare e l’ho seguito con il binocolo. Ad un certo punto ha preso quota ed ha virato, poi ha cominciato a girare su se stesso ed è caduto». Anche da quella distanza, ricorda, si è avvertito il fracasso di ferraglia al momento dell’impatto e poi il rombo del rotore svanire poco a poco.
Sono le 12.19, Lorenzon con il suo cellulare dà l’allarme al 113. Arrivano i primi soccorsi: «Li abbiamo aspettati per far strada e indicare il posto – conferma Marcon -. Li abbiamo anche richiamati perché ci eravamo accorti che erano passati oltre: la boscaglia è fitta e non è semplice orientarsi».
Suem, Carabinieri. Alle 12.38 atterra pure l’elicottero dei Vigili del fuoco di Venezia: «Abbiamo spento i motori a pochi metri di distanza dal rottame, ci siamo resi conto subito che a bordo c’era tanta gente viva e incastrata, abbiamo operato subito sui feriti, abbiamo cominciato ad estrarre tutta la gente viva – racconta il capo equipaggio Alessandro Favaro -. Parlando con uno di loro, abbiamo capito che erano in undici a bordo». I vigili estraggono i corpi uno ad uno: «Quattro ne abbiamo tirati fuori subito allargando la fusoliera con le cesoie, altri tre o quattro erano incastrati, gli altri erano deceduti nell’impatto, tra questi i due piloti».
Dal cavalcavia hanno visto giusto: a pochi metri dalla fusoliera, uno dei militari è miracolosamente illeso: «Era un ragazzo molto giovane ed era sotto choc, si era messo seduto, il personale sanitario gli parlava, lo tranquillizzavano, poi si è un po’ allontanato con loro a piedi dal rottame, è stato messo su una barella e alla fine è stato portato via in qualche altro ospedale». Verso la salvezza, proprio come in un film.
Mattia Zanardo
Erica Bet

I POLITICI
Atalmi (Pdci) fuori dal coro: «Liberiamoci da queste macchine di morte»
Tra le voci di cordoglio che provengono dal mondo politico trevigiano si distingue quella fortemente critica di Nicola Atalmi. Il consigliere regionale del Partito dei Comunisti italiani esprime forte preoccupazione per la forte presenza dei militari americani tra Veneto e Friuli e per tutte le conseguenze che questa potrebbe avere per i veneti.
«Nell’esprimere il nostro cordoglio per le persone morte nell’incidente dell’elicottero statunitense precipitato oggi nel Trevigiano, non possiamo che evidenziare come le nostre preoccupazioni in merito alla presenza militare americana stiano crescendo», afferma Atalmi. E aggiunge: «Si sta correndo seriamente il rischio che tra Aviano e Vicenza si costruisca un asse operativo militare americano che occupa cieli e terra a discapito della sicurezza dei cittadini e della diffusa sensibilità pacifista dei veneti. Liberiamo i cieli e la terra veneta dalle macchine militari di morte». Parole che riaprono una questione problematica a pochi mesi dalle polemiche sull’ampliamento della base statunitense di Vicenza, la Dal Molin, e che sicuramente faranno discutere.
Compunto il dolore della senatrice Simonetta Rubinato, che chiede che venga fatta chiarezza al più presto e che siano verificate le misure di sicurezza: «Sono addolorata per ciò che è successo ed esprimo le mie più sentite condoglianze ai famigliari delle vittime dell’incidente e al comando statunitense. È comunque un sollievo apprendere che, nonostante il velivolo sia precipitato a poche centinaia di metri dall’autostrada A27, non ci sono state ulteriori vittime tra la popolazione civile. Confido che si faccia piena chiarezza sull’accaduto e si proceda immediatamente ad una attenta verifica delle misure di salvaguardia e di prevenzione affinché tragedie come queste non si debbano più ripetere».Da Roma giungono anche le condoglianze del viceministro dei Trasporti Cesare De Piccoli: «Esprimo profondo cordoglio e sentita vicinanza ai famigliari delle vittime coinvolte nel tragico incidente di oggi e manifesto al comando statunitense la mia sincera solidarietà e partecipazione».Ai familiari delle vittime vanno anche le condoglianze del presidente della Provincia Leonardo Muraro: «Voglio esprimere il più sentito cordoglio, a nome mio ma anche di tutta l’amministrazione provinciale, ai familiari delle vittime coinvolte nell’incidente dell’elicottero a Santa Lucia di Piave. Porto il mio sostegno anche al Comando americano di Aviano costretto a subire questa terribile tragedia. Il territorio trevigiano è stato pronto ad attivarsi appena scattata l’emergenza. Come istituzione la Provincia resta a disposizione delle autorità competenti per qualsiasi necessità».
Marco Gasparin

Sul greto del Piave il sindaco …
(a.f.) Sul greto del Piave il sindaco Fiorenzo Fantinel osserva con attenzione le operazioni sull’isolotto in mezzo al fiume, il via vai degli elicotteri di soccorso, lo sguardo poi si sposta all’autostrada Venezia-Belluno, la tragedia si è consumata proprio sotto il viadotto "Piave". Ha un cappotto scuro il sindaco: se il nero è il colore dell’ufficialità, lo è anche del lutto e il primo cittadino esprime un sentito cordoglio per il tragico incidente. «Sono situazioni tristi – dice Fantinel – parlare è difficile. Dispiace molto, sono morti dei giovani…». Il rischio è quello di cadere nella retorica, ma il sindaco riesce ad evitarlo. «Non è accaduto nulla direttamente collegato alla nostra comunità – osserva – nondimeno vi è un sincero dispiacere per quest’incidente, penso alle giovani vite andate perdute». Tutt’intorno stazionano gli agenti della Polizia Locale di Santa Lucia, impediscono ai curiosi di avvicinarsi al luogo dell’incidente. Il sindaco continua ad osservare: trema al pensiero che la tragedia avrebbe potuto avere un bilancio ben più pesante, il nastro d’asfalto dell’autostrada è a poche decine di metri. «Diciamo – osserva – che le proporzioni dell’incidente avrebbero potuto essere più pesanti, per fortuna non è andata così».

Quasi in contemporanea ai primi …
Quasi in contemporanea ai primi soccorritori arrivano anche i curiosi. Troppo invadente il carosello di sirene, lo sciame di elicotteri che squarciano la tranquillità del mezzogiorno feriale per passare inosservato, troppo ghiotte le prime notizie rimbalzate dai tigì dell’ora di pranzo per non venire a dare un’occhiata. Basta seguire il corteo di camionette delle forze dell’ordine e gli apparecchi in volo per individuare il punto in mezzo alle Grave dove è precipitato il velivolo militare statunitense.
Escono dalle case più prossime, ma qualcuno si è persino tolto la briga di prendere l’auto per venire a assistere in diretta al recupero. Avanzano poco a poco, i più si accontentano di scrutare la scena dall’argine o dai primi dossi del greto. Il marito di Monica ha orecchiato alla radiotrasmittente "cb" del camion che l’autostrada era stata bloccata, il volteggiare degli elicotteri sopra casa ha confermato che doveva essere successo qualcosa di grosso: così è venuta a dare uno sguardo, portando anche i bambini. I più temerari, però, non si fanno scrupoli a sfilarsi scarpe e calzini per guardare il braccio del Piave: l’acqua alta pochi centimetri è debole ostacolo alla voglia di osservare più da vicino. Un anziano signore ha attraversato addirittura con la sua bicicletta. «Non può essere stata che un’avaria – commenta Flavio – Per fortuna è successo qui in mezzo e non in un luogo dove c’erano delle case e non è stato coinvolto nessun civile». Sotto gli occhi di carabinieri e poliziotti che sorvegliano che nessuno si avvicini troppo, si scattano foto con il telefonino, si chiamano gli amici per raccontare loro in tempo reale le operazioni. Chi conosce meglio il posto si prodiga in indicazioni sui tratti più comodi per superare la corrente (il consiglio è arrivato tardi per la jeep del Suem incagliata in mezzo al fiume: per liberarla occorre l’intervento della scavatrice) e sulle stradicciole che portano fin quasi sull’isolotto del tragico impatto.
Le testimonianze concordano tutte su un punto: gli elicotteri che sorvolano questa zona sono tutt’altro che infrequenti «Si vedono spesso volare da queste parti, soprattutto di sera ed anche di notte quando vengo a pescare li ho sentiti spesso», conferma il tipo della bici.
Comincia ad imbrunire, gli agenti decidono che il pubblico ha guardato abbastanza: allontanarsi tutti. Lo spettacolo è finito.
m.zan

occorritori nell’acqua fino alle ginocchia per raggiungere il luogo dell’incidente. Una camionetta dei pompieri e un’ambulanza piantate in mezzo al fiume
Corpi straziati e rottami, scene di guerra sul Piave
Momenti da incubo dopo lo schianto dell’elicottero: quattro militari muoiono sul colpo, altri due all’ospedale
La carlinga completamente sventrata, il rotore di coda tranciato di netto, pezzi di fusoliera sparsi un po’ ovunque: dentro, nel groviglio di lamiere, ci sono ancora i corpi di due piloti. A terra, poco lontano, le salme degli altri due militari morti, mentre i feriti, uno alla volta a cominciare dai più gravi, vengono caricati sugli elicotteri e portati nei vari ospedali.
Questa la scena che si è presentata ieri ai primi soccorritori quando, poco dopo le 13, sono riusciti ad arrivare sul luogo in cui è avvenuto il tragico schianto. Per farlo è stato necessario attraversare il Piave a piedi, con l’acqua fino alle ginocchia: il Black Hawk UH60, l’elicottero usato dagli americani in tutte le missioni di guerra, un modello ritenuto sicurissimo, è precipitato, infatti, in un posto difficilissimo da raggiungere: il velivolo è caduto su un isolotto in mezzo al Piave.
L’elicottero è precipitato a circa 300 metri dal ponte della A27, giusto al confine tra i comuni di Santa Lucia e Spresiano. Arrivare sull’isolotto da terra è consentito solo con un fuoristrada o attraversando il fiume a piedi: una camionetta dei vigili del fuoco e un’ambulanza, che per prime hanno tentato di raggiungere il luogo dello schianto, si sono "piantate" in mezzo al fiume.
Attorno ai rottami dell’elicottero solo sassi e arbusti, delimitati dai due rami del fiume, che per fortuna in quel punto è abbastanza basso. Il Black Hawk è precipitato in un tratto dell’isolotto coperto di ciottoli e sterpaglia: i danni maggiori li ha riportati, nell’impatto con il terreno, la parte anteriore del velivolo. Il "cok pit" – nome tecnico dell’abitacolo – è andato completamente distrutto nello schianto. Si è aperto come una scatola di sardine: l’elicottero era sventrato, pezzi di lamiera erano sparsi un po’ ovunque, per decine di metri attorno al velivolo.
Quando la gente che abita nelle case più vicine, un chilometro circa dal luogo dell’impatto, è riuscita ad arrivare sul posto, i feriti più gravi erano già stati portati via. Sul greto del fiume sacro alla patria c’erano ancora i quattro militari morti nello schianto (un quinto ferito cesserà di vivere poco dopo il ricovero, ndr), assieme ai feriti meno gravi, tremanti e sotto choc: due salme erano ai posti di guida e altre due in mezzo agli arbusti, scagliate fuori dal velivolo nell’impatto col terreno.Per ore, dopo il tragico schianto, sul greto del fiume è stato un continuo susseguirsi di atterraggi e decolli: i due elicotteri del 118, giunti rispettivamente da Treviso e Padova, hanno portato via i feriti più gravi. Quelli di vigili del fuoco, polizia e carabinieri hanno caricato gli altri feriti, trasferendoli fino al ponte dell’autostrada dove sono stati trasbordati caricati sulle ambulanze per il trasporto nei vari ospedali. I mezzi dei pompieri e delle forze dell’ordine si sono alternati, facendo la spola con il ponte dell’autostrada dove avveniva il rendez-vouz con le auto, per prelevare e portare sull’isolotto i vertici di carabinieri e polizia.
Sul posto sono giunte, poco dopo lo schianto, le autorità Usa da Aviano, il colonnello Nardone, i comandanti dei carabinieri di Conegliano e Susegana. Poi è stata la volta del prefetto Capocelli. Poco prima delle 15 è giunto, dalla Procura, anche il pm Cicero: poco dopo il suo arrivo le salme delle prime 4 vittime dell’incidente sono state rimosse. I corpi degli sfortunati militari sono stati caricati sugli elicotteri in attesa, per l’ultimo volo dopo quello, sfortunato, di addestramento che è costato loro la vita. Sembra, infatti, che i militari Usa ieri fossero impegnati in un’esercitazione che prevedeva operazioni di imbarco e sbarco. Un’esercitazione frequente, sul greto del Piave, zona deserta e quindi ideale per questo tipo di operazioni. «E’ parecchio tempo, ormai, che vediamo gli elicotteri americani fare esercitazioni qui – confermavano ieri, mentre assistevano alle operazioni di soccorso, gli abitanti della zona -. Li vediamo scendere e risalire dal greto, non ci sono mai stati problemi. Oggi (ieri per chi legge, ndr) abbiamo capito che era successo qualcosa di grave quando abbiamo sentito le prime sirene».
Erano le 15.30, ieri, quando, dopo il recupero delle salme, alle lamiere del Black Hawk è stato fatto avvicinare un escavatore per tentare di recuperare quel che restava del velivolo, mentre i pompieri lanciavano getti d’acqua per spegnere eventuali focolai. L’intera area è stata poi delimitata: subito dopo le autorità americane hanno chiesto di far allontanare fotografi e giornalisti. Sul posto sono rimasti vigili del fuoco, polizia e carabinieri: le operazioni di recupero, oltre che dell’elicottero americano anche dei mezzi di soccorso incagliatisi nel tentativo di raggiungere il luogo del disastro, sono proseguite fino al calar delle tenebre.
Elisabetta Gavaz

Area e relitto sotto sequestro
Aperta un’inchiesta per disastro aviatorio. Già nominato un consulente tecnico
Disastro aviatorio. Questa l’ipotesi di reato del fascicolo aperto in Procura a Treviso, dal pm di turno Giovanni Francesco Cicero, che ieri pomeriggio si è recato sul luogo dell’incidente.
Sotto sequestro, in attesa di ulteriori accertamenti, la carcassa e i resti dell’elicottero e tutta l’area del greto sul fiume del Piave dove è avvenuto l’incidente. L’intera zona del disastro è sorvegliata dai carabinieri e dai militari americani.
«In questa fase processuale di urgenza procediamo noi – ha spiegato il procuratore della Repubblica di Treviso Antonio Fojadelli -. Solo in un secondo tempo nel caso ci sia una richiesta da parte delle autorità statunitensi di bloccare la giurisdizione del competente paese, procederanno loro». E in quel caso l’inchiesta della Procura di Treviso verrebbe a cadere. Insomma come nel caso del Cernis. È molto probabile infatti profilarsi la possibilità che le autorità statunitensi, sulla base degli accordi legati al cosiddetto "trattato di Londra" degli inizi degli anni ’50, possano chiedere al competente ministero italiano di rinunciare alla giurisdizione primaria. Questo per il fatto che tutte le vittime sono statunitensi.
Nel frattempo comunque la Procura di Treviso ha nominato un esperto in questo tipo di incidenti. Il perito è andato sul luogo del disastro, insieme al pm di turno, ed ha raccolto gli elementi per ricostruire quanto avvenuto e per scoprire le cause che hanno portato alla caduta del velivolo. Che per ora sono comunque ancora ignote. «Abbiamo conferito l’incarico al massimo esperto per disastri aerei – prosegue il Procuratore Fojadelli -. Non si trascurerà nulla per fare chiarezza su quanto accaduto. Sono stato contattato dai legali statunitensi che mi hanno comunicato che anche alcuni periti americani lavoreranno per accertare le cause del disastro».
Sul luogo dell’incidente oltre alla polizia giudiziaria della procura del tribunale di Treviso anche quella della procura militare di Padova. Questi ultimi, i carabinieri di polizia giudiziaria hanno effettuato un sopralluogo assieme alla compagnia territoriale di Conegliano (Treviso). Si tratta di accertamenti dovuti e in base ai rilievi potrà o meno essere poi interessata la Procura militare euganea, competente solo nel caso di eventuali riscontrati problemi che coinvolgano la catena organizzativa militare italiana. Presenti anche militari statunitensi.
Nelle prossime ore per ricostruire quanto accaduto verranno ascoltati tutti i sopravvissuti e i testimoni oculari del fatto. Ancora sconosciute per ora infatti le cause dell’incidente.

Ha la voce rotta dall’emozione Luciano Zanardo, uno dei titolari dell’azienda di scavi di San Michele chiamato dai pompieri per spostare i rottami del Black Hawk con il suo mezzo meccanico
Cavatore sconvolto: «Sotto la carlinga due corpi senza vita»
Ha lo sguardo commosso, nei suoi occhi è impressa l’immagine dei due giovani soldati morti intrappolati nella carlinga dell’elicottero precipitato. Luciano Zanardo, uno dei titolari della Fratelli Zanardo, azienda di scavi e movimento terra con sede a San Michele di Piave, lavora da una vita in grava. In decenni di scavi una scena così non l’aveva mai vista, mai gli era capitato di dover spostare un mezzo, nella fattispecie un elicottero militare, per poter recuperare due poveri corpi straziati e schiacciati dalle lamiere. Luciano Zanardo è un cavatore: sono uomini di poche parole, abituati alla luce del sole cocente che sbianca i sassi del Piave, uso a trattare con quell’acqua del fiume che a volte combina disastri. La voce gli trema mentre racconta il lavoro che ha svolto. «Siamo stati chiamati dal comandante provinciale dei Vigili del fuoco di Treviso – racconta – ci ha chiesto di intervenire con lo scavatore per spostare la carlinga dell’elicottero che era precipitato. Così siamo arrivati con lo scavatore ed abbiamo iniziato pian piano a rimuovere la terra, sempre con grande cautela». Nei momenti concitati successivi al terribile incidente, era subito stata diramata la notizia che alcuni militari erano rimasti intrappolati. Per loro non c’era più nulla da fare, bisognava procedere al recupero delle salme. Operazione tutt’altro che semplice, vista la particolare natura del luogo. Sono le grave del Piave: greti ghiaiosi ed isolotti di varie dimensioni, vasta estensione di circa 750 ettari racchiusa fra i due rami del fiume, quello di Cimadolmo e quello di Maserada. Intervenire con mezzi da strada qui è impensabile, come minimo ci si ritroverebbe piantati nella ghiaia con le ruote che slittano, perchè il fondo è morbido, anche a causa delle correnti sotterranee del fiume. Per buona parte infatti l’acqua del Piave scorre sotto i sassi. Indispensabili in questo caso sono i mezzi movimento terra, provvisti di cingoli e ruote motrici. Lo scavatore guidato da Luciano Zanardo è giunto intorno alle 14.30. «Lavorando con tanta cautela – racconta l’uomo – sono riuscito a sollevare la carlinga. Sotto c’erano due militari, due giovani…». La voce del cavatore si spezza, apre le mani in un gesto eloquente, quasi a voler tracciare con le dita l’ineluttabilità di questa disgrazia. Terminato il suo pietoso compito, Luciano Zanardo ha spostato lo scavatore, per lasciar il posto ad un altro mastodontico macchinario, provvisto di possenti rulli compressori. «Il nostro lavoro – racconta – proseguirà nei prossimi giorni. Dobbiamo tracciare una strada che, partendo dall’argine in territorio di Santa Lucia, raggiunga l’isolotto dove è precipitato l’elicottero. Ciò per consentire alle autorità civili e militari ed ai funzionari della Base di Aviano, di poter raggiungere l’isolotto senza difficoltà, facilitando lo svolgimento delle indagini. Credo che andranno avanti a lungo, da ciò che ho capito le indagini proseguiranno per giorni». Ieri, nonostante la scarsa visibilità del tardo pomeriggio autunnale, la ruspa si era messa al lavoro, strappando le sterpaglie dall’argine, smuovendo la terra, creando un primo passaggio.Annalisa Fregonese

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